Al via il sontuoso programma del Ravenna Festival 2014. La 25esima edizione è dedicata al 1914, «L’anno che ha cambiato il mondo», ovvero l’avvio della Grande Guerra.
Il tema appare ben chiaro sin dalla copertina del booklet della manifestazione, il quale mostra una copertina della Domenica del Corriere (e, naturalmente, del mitico Achille Beltrame), con un alpino che si inoltra in montagna insieme al suo mulo, tra minacciose muraglie di neve.
Molti degli appuntamenti in cartellone si ricollegano a quell’immane conflitto e i suoi protagonisti come argomento di fondo, sino alla celebrazione delle vittime di tutte le guerre con l’esecuzione del “Requiem” verdiano diretto da Riccardo Muti al PalaDeAndrè prima, e nell’immenso Sacrario di Redipuglia il giorno successivo (5/6 luglio).
A scorrere il calendario, quello del Ravenna Festival è un programma come sempre assai variegato, ma che quest’anno riserva un posto privilegiato alla danza. E non solo con alcuni appuntamenti collocati tra giugno e luglio aventi come protagonisti compagnie di assoluto rilievo, come l’Abbondanza/Bertoni, il Ballet du Grande Théâtre de Genève, Micha van Hoecke ed i suoi solisti, il senegalese Takku Ligey Théâtre, la Compagnie Olivier Dubois, la Trisha Brown Dance Company; ma sopra tutto perché al balletto è interamente dedicata la sua appendice d’ottobre – denominata «Trilogia d’autunno» – con tre diversi spettacoli prodotti dal Corpo di ballo e dall’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, e replicati per due week-end. Per la precisione, si tratta di due titoli fondamentali del repertorio ballettistico – “Il lago dei cigni” e “Giselle”- presentati nelle memorabili coreografie di Petipa/Ivanov e di Coralli/Perrot/Petipa, e un “Trittico ‘900” con musiche di Chopin/Glazunov (“Les Sylphides”) e di Stravinskij (“Apollo” e “Rubies”) su coreografie altrettanto celebri e storiche di Folkin e Balanchine. Anche la serata d’avvio del Festival romagnolo era dedicata alla danza, ça va sans dire: un ricco Galà-Concerto ‘à la russe’con l’eccezionale Svetlana Zakharova affiancata da alcune étoiles del Teatro Bolshoi di Mosca, accompagnate e sostenute dall’Orchestra Giovanile Cherubini guidata da Vadim Repin. Il compagno di vita della grande artista russa si è presentato in veste di direttore, ma ancor prima di grandissimo violinista, esibendosi con l’orchestra in alcuni pezzi solistici di carattere virtuosistico.
Teatro.it ha assistio il 6 giugno a un piccolo/grande spettacolo di prosa intitolato “A te come a te”, una ‘lettura scenica’ di alcuni testi di Giovanni Testori, personalità poliedrica e sfaccettata (scrittore, drammaturgo, attore, regista, critico d’arte e letterario, persino pittore) che nella solida matrice cattolica trovò sempre la sua bussola interiore ed il suo riferimento espressivo. Quelli scelti dal regista Marco Martinelli e dall’attrice Ermanna Montanari - anche qui, siamo in presenza di una coppia di vita ed artistica di ferro, fondatrice del pluripremiato Teatro delle Albe e di Ravenna Teatro – sono alcuni interventi apparsi nel 1979-1980 sulla terza pagina de «Il Corriere della sera», dove Testori aveva preso il posto di Pasolini, ed alcuni stralci di interviste rilasciate tra il 1987 ed il 1993, l’anno della sua morte. Parole e riflessioni profonde, aventi tutte come soggetto principale la violenza sulle donne - esemplare in questo la lucida e severa invettiva civile con la quale nell’agosto 1979 invoca una legge di stato in loro difesa – ma anche, nel contempo, l’esercizio dei principi cristiani di base quali la necessità della comprensione e del perdono verso chi ha sbagliato. Lettura appassionata, vibrante e coinvolgente, quella di Ermanna Montanari, accompagnata e sostenuta dai dolci e sommessi canti a due voci di Michela Marangoni e Laura Radaelli. Non serviva scenografia, dato che non poteva essere scelto luogo più suggestivo: il pubblico si trovava infatti seduto a metà delle alte navate della Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo tra le due maestose processioni di sante e martiri, inarrivabile capolavoro dell’arte musiva ravennate.
In tournée con la ‘sua’ Filarmonica di San Pietroburgo, Yuri Temirkanov è approdato anche al PalaDeAndrè con un programma interamente dedicato alla Russia, che ha messo in mostra tutto il suo carisma direttoriale, il gesto solido e comunicativo, e naturalmente l’empatia con la storica compagine che per tanto tempo abbiamo conosciuto ed ammirato per anni sotto il nome di Filarmonica di Leningrado (vi ricordate le stupende incisioni con Evgenij Mravinskij?). In apertura della serata è stata proposta la fosca ed drammaticità della fantasia sinfonica “Francesca da Rimini” op. 32 di Čajkovskij, ispirata al grande poema dantesco che, nel V° Canto dell’Inferno, ci rievoca la fatale passione tra Paolo e Francesca. Composizione che, peraltro, è forse la meno frequentata delle composizioni a programma del massimo compositore russo per la sua notevole complessità esecutiva, fattore che tuttavia non ha certo sgomentato né Temirkanov né gli orchestrali russi pronti a mostare una granitica compattezza strumentale. Avendo a portata di mano il prodigioso archetto di Vadim Repin, per il secondo brano in programma la scelta è caduta sul luminoso ed estroverso Concerto in sol minore op. 63 per violino e orchestra di Prokof’ev, partitura iniziata a Parigi e terminata nell’orchestrazione a Baku – l’idea originale era quella di una semplice sonata a due - ma di fatto maturata durante una lunga tournèe nei paesi del bacino occidentale del Mediterraneo con il violinista francese Robert Soetens, il primo dedicatario del lavoro. Repin, sicuramente tra i primissimi solisti di questo strumento oggi al mondo, non ha deluso in alcun modo le attese: ha reso appieno sia le intimistiche riflessioni dei primi due movimenti, sia tutto il mordente e la dinamicità dell’Allegro finale, con sottile eleganza e prodigiosa scioltezza.
Per concludere, Temirkanov ha affrontato per noi uno dei caposaldi del Novecento, il balletto “Petruška” di Stravinskij nella versione del 1947; versione cioè pensata per un’orchestra un po’ più piccola di quella impiegata nel 1911, ma qui messa nelle mani di una compagine possente quale può essere la Filarmonica di San Pietroburgo a ranghi pieni. Cioè, facendo due conti, una settantina d’archi e una trentina di fiati, più arpe e percussioni, che ovviamente suonano tutti con una perfezione ed un affiatamento assolutamente ammirevoli: la classe non si discute. Nondimeno, abbiamo trovato strumentisti allo stesso capaci, se del caso, di mettere in campo una leggerezza ed una souplesse da formazione cameristica, come stava a dimostrare il delizioso bis – il “Tango spagnolo” di Albeniz nella strumentazione di Malcolm Arnold (1953) – offerto in omaggio al pubblico che ha pressochè saturato i 4.000 posti del PalaDeAndrè, e che ha dimostrato enorme stima a questi artisti.
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